Nella premessa che tutti i beni sia mobili che immobili e tutti i diritti reali attribuibili, a titolo di proprietà, a persone fisiche e/o giuridiche posso essere conferite in un trust (ad es. immobili personali o strumentali all’esercizio d’impresa, arredi, automezzi, imbarcazioni, titolo di credito, azioni, quote di società immobiliari, gioielli, opere d’arte, opere dell’ingegno, conti bancari, somme di denaro, ed altri valori mobiliari), il suo scopo di “garanzia” sarà rivolto a realizzare una “segregazione patrimoniale” di tali beni finalizzata al soddisfacimento di crediti determinati. Infatti il portafoglio venuto a costituirsi sarà opportunamente amministrato dal Trustee secondo un programma prestabilito, volto alla conservazione ed accrescimento del patrimonio, fino al termine convenuto, ove si realizzeranno alternativamente le due condizioni sospensive, per come già descritte. In caso di inadempimento del Trustee verso il beneficiario, per i debiti riconosciuti in atto costitutivo del trust, il trustee stesso provvederà ad alienare il bene non secondo il valore di mercato, bensì perseguendo il maggior ricavo possibile e allo scopo di liquidare il debito attestato in atto di trust, a favore dell’avente titolo. La funzione di garanzia è facilmente esercitata in trasparenza, rapidità dell’esecuzione nell’ovvia tutela di entrambe le parti del rapporto. L’evidente efficienza e validità dell’istituto adottato a scopo di garanzia lo rende sicuramente preferibile agli altri istituti offerti dalla normativa nazionale.
Il nostro ordinamento offre diversi istituti, funzionalmente deputati a creare garanzie di ripetizione di quanto assunto a credito. Invero le procedure farraginose previste per la loro applicazione, la carente efficacia di tutela ed i lunghi ed incerti esiti del “recupero”, in caso di inadempienza, li rendono meno efficaci del trust.
In altri tempi si è fatto sovente ricorso all’affidamento di somme al notaio, mediante l’istituto del “deposito” (art 1767 c.c.). Configurando questa ipotesi di consegna allo stesso di somme, che per inciso, possono solo riguardare valori mobiliari, in funzione di esigenze particolari che nascono dalla stipulazione dell’atto, si realizza l’evento che le somme affidategli entrino a far parte del suo patrimonio con il quale si confondono. Oltre ad essere un istituto poco probabile, in termini di impiego commerciale nelle operazioni finanziarie d’impresa, appare evidente l’ovvia conseguenza che i valori depositati, potranno essere aggredite dai creditori del professionista stesso ed entreranno, alla sua morte prematura sull’esito del deposito, nell’asse ereditario personale. Infatti l’art. 1782, a proposito del c.d. “deposito irregolare”, tratta proprio del deposito di “denaro”, o altri valori fungibili, che oltre ad entrare direttamente nel patrimonio del depositario, subiscono anche a disciplina del “mutuo” per quanto applicabili. Nel caso del trust, invece, la segregazione tra i beni personali del Trustee e quelli che riceve in amministrazione sono assolutamente “segregati” tra loro. Inoltre, nel caso di mancata sopravvenienza in vita del Trustee, un buon contratto di trust ha ampiamente e con opportuno discernimento valutato le considerazioni a riguardo.
Si potrebbe ipotizzare la strada del pegno e dell’ipoteca, oggi particolarmente adottata, anche se con evidenti effetti deficitari, di cui si espone. Nel caso del c.d. “pegno in garanzia”, di cui all’art. 2023 del c.c. la gestione del capitale conferito o di altri beni mobili, non consente l’impiego degli stessi con le medesime più apprezzabili utilità che sono consentite, ovviamente al trust, a cui è lecito operare anche operazioni di investimento e disinvestimento, o di impiego operativo, proprie dei mercati attuali, ed in ovvio vantaggio del creditore. Ciò si avvale anche nel caso del c.d. “pegno operativo”, nella cui fattispecie viene caratterizzata la sostituzione dei valori ricevuti, mediante surrogazione reale, con altri valori di eguale importo11. Appare evidente come la questione non si possa definire confacente alle esigenze di un’impresa che abbia necessità di attingere a risorse finanziarie del canale bancario. Parimenti, nel caso della costituzione di “ipoteca”, con effetto di garanzia del credito iscritto, con privilegio, di cui agli artt. 2808 e segg. del c.c., occorre considerare le difficoltà reali dell’attuale procedura di recupero del credito. Infatti, il nostro ordinamento non consente al creditore una rapida ed agevole realizzazione del credito, che sebbene tutelato dal bene gravato di ipoteca, rimane sottoposto alla procedura lunga e farraginosa dell’esecuzione attraverso “l’espropriazione” del bene, secondo le regole della procedura civile, e quindi attraverso la vendita e l’attribuzione del ricavato in via primaria rispetto agli altri creditori, ovvero attraverso l’assegnazione giudiziale. Strumento inefficace ed obsoleto, si dimostra ancora più pericoloso per il mantenimento di garanzia per il creditore, se legato a valori mobiliari che subiscono forti sollecitazioni dai mercati finanziari, od in altri casi che richiedono una cura ed una gestione dedicata che solamente con un trust si riesce a garantire. In conclusione, ed in riferimento all’ipoteca, possiamo assolutamente affermare che essa non soddisfa la necessità del creditore di disporre di un meccanismo che gli consenta una rapida ed agevole realizzazione del credito garantito, in quanto non è prevista la vendita del bene ad opera dello stesso creditore.
Con l’introduzione nel codice civile del nuovo articolo 2645-ter, è stato sancito che, mediante atto pubblico, determinati beni immobili e mobili registrati possono essere destinati “alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela” per una durata non superiore a novant’anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria12. È così possibile costituire un vincolo di destinazione, che presenta alcune analogie con l’istituto del trust, ma non piena identità con questo. Infatti non si prevede un apparato di “gestione” e di “controllo” sulla direzione d’impiego del bene e sul controllo del successivo vincolo di destinazione. Peraltro, la terzietà del trust assicura una maggiore tutela degli interessi del creditore.
Dai connotati molto simili al trust, il nostro ordinamento ha previsto la tutela al c.d. “mandato fiduciario”, accordo in base al quale, le differenze rispetto al trust sono molto profonde: nel mandato fiduciario infatti la proprietà dei beni appartiene solo formalmente al fiduciario, che si obbliga ad obbedire a tutte le disposizioni del fiduciante, ivi compreso l’eventuale ordine di restituzione degli stessi. Nel trust, al contrario, il trustee è pieno proprietario del bene in trust ed è vincolato nell’esercizio del proprio diritto dalle disposizioni contenute nell’atto di trust da esercitare nell’interesse del solo beneficiary. Il trustee può alienare, permutare, affittare, dare in garanzia i beni in trust (alle condizioni del disponente e se ciòè funzionale alle volontà espresse nell’atto di trust dallo stesso disponente). Rispetto ad un pieno proprietario egli non può distruggere la cosa (salva substantia rerum). Il mandato fiduciario si estingue, generalmente, alla morte del fiduciante, mentre il trust resta valido anche in caso di morte del disponente, in quanto l’attuazione del compito ha una propria autonomia che travalica la vita dei soggetti coinvolti. Nel mandato fiduciario, il mandante ha rimedi giuridici contro il mandatario “infedele”, mentre nel trust il disponente non ha rimedi giuridici contro il trustee, in quanto non nasce tra i due un rapporto contrattuale. Il trustee, risponde al Protector ed opera nell’interesse del beneficiario. Infatti, eventuali azioni contro il trustee, possono essere intentate dai beneficiari del trust, dai soggetti ai quali il disponente abbia conferito questa legittimazione, e dal guardiano del trust. La piena proprietà del trustee giustifica, senza riserve o vincoli apposti dal debitore all’esercizio dello strumento ai fini di tutela creditoria, con maggior efficacia.
Nelle considerazioni circa il confronto con altri strumenti di tutela, occorre fare un riferimento all’aspetto fiscale della questione. I beni trattenuti in capo al debitore incidono fiscalmente sulla sua capacità reddituale, facendo massa con gli altri eventuali valori del patrimonio. Situazione particolare vale nell’ipotesi di beni strumentali dell’impresa, per cui si dirà oltre. Ma, in generale occorre considerare che il fisco italiano ha risolto le problematiche iniziali circa la questione della possibile attribuibilità al Trust di una personalità giuridica autonoma e distinta dal trustee in ragione della sua specifica rilevanza in tema di trattamento fiscale. Il problema dal punto di vista più propriamente dottrinario, attiene alla inderogabilità del dogma dell’unicità del patrimonio, inteso come complesso di rapporti giuridici facenti capo ad un soggetto. Infatti, l’ammissione del patrimonio separato, inteso nel senso indicato dalla Convenzione dell’Aja come “massa” distinta da quella del soggetto che ne ha la titolarità, pone l’ulteriore questione dell’atipicità del patrimonio separato nella misura in cui esso si configura come “proprietà destinata”. Tuttavia il fisco ha disciplinato la tassazione in capo al trustee secondo la disciplina propria del bene conferito13. Nel caso che un’impresa conferisca in trust un bene strumentale, potrà impiegarlo, per esempio ricevendolo in locazione per l’impiego. Il costo della locazione contribuirà a sostenere il ripianamento del piano di rientro sul credito concesso.